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Source: Gazzetta.it
Intervista con OK Bellezza
- Dettagli
- Published on Venerdì, 06 Dicembre 2019 14:56
- Scritto da Andrea Turetta
- Visite: 611
The Goods è il disco d’esordio del quartetto Ok Bellezza pubblicato dall’etichetta Emme Record Label. La band che vanta già una lunga esperienza live è composta da Nicola Tentorio alla batteria, Alessandro Borgini alla chitarra elettrica, Nick Stimazzi all’organo hammond e Sebastiano Sempio alle congas e percussioni. Ecco l’intervista gentilmente rilasciata…
E’ uscito recentemente il vostro album, “The Goods”. C’è un filo comune che lega i pezzi del disco?
OkB: I brani sono legati da un riferimento complessivo alla musica degli anni sessanta: uno sguardo divertito, a volte nostalgico ma non malinconico, che abbraccia varie sfaccettature della musica di quel periodo, dal soul jazz per organ trio alla musica brasiliana, dal funk alle colonne sonore dei polizieschi.
E’ stato complicato mettere insieme le canzoni che avrebbero fatto parte di questo disco?
OkB: Direi di no: abbiamo scritto i brani in un lasso di tempo piuttosto lungo ed alcuni li suoniamo dal vivo già da qualche anno, solo ad un certo punto abbiamo avvertito l'esigenza di raccoglierli in un disco.
C’è voluto molto tempo per preparare questo vostro lavoro discografico?
OkB: Circa un anno: abbiamo riarrangiato alcune cose, altre le abbiamo quasi riscritte. Il lavoro in studio è stato piuttosto rapido perché abbiamo registrato tutto in presa diretta con pochissimo editing e strumentazione principalmente analogica.
Quando finisce un album, spesso rimane fuori qualcosa. E’ successo anche a voi?
OkB: Sì, sono rimaste fuori sia nostre composizioni che non ci convincevano del tutto o non quadravano con l'insieme sia molti brani di altri autori (come Grant Green, Richard Groove Holmes, Ray Charles, Wes Montgomery, George Benson, Jimmy Smith) che amiamo suonare dal vivo.
Quali pensate siano le cose che piacciono di più di voi al pubblico che vi segue?
OkB: Credo che il nostro pubblico apprezzi il fatto che la nostra proposta, pur rimanendo grosso modo nei confini del jazz strumentale ed essendo quindi in un certo senso abbastanza sofisticata, sia anche molto godibile, varia e ricca di riferimenti ad altri stili.
A livello nazionale ed internazionale… pensate stiamo uscendo dal periodo di crisi (o secondo alcuni, di profonda trasformazione) discografica?
OkB: E' una domanda a cui è molto difficile rispondere! Crediamo che negli ultimi tre decenni si sia assistito ad un processo duplice: da una parte è avvenuta una grossa concentrazione che ha portato ad un mercato dominato da pochi grandi soggetti di carattere monopolistico, dall'altra l'abbattimento dei costi della tecnologia e la diffusione capillare dei mezzi di comunicazione ha consentito a molti (band, piccole etichette, studi) di realizzare progetti prima impossibili per chi non avesse grandi budget ed il supporto di strutture organizzate. Per band indipendenti come noi, la cui proposta è necessariamente piuttosto di nicchia, si sono aperti degli spazi di comunicazione diretta con il pubblico e possibilità di penetrazione in circuiti di appassionati.
E’ stato difficile trovare chi credesse nella vostra musica?
OkB: Ci abbiamo dedicato un po' di tempo.
Cosa vi piace e cosa meno dell’ambiente discografico?
OkB: Ognuno di noi ha avuto singolarmente a che fare con l'industria discografica in vari periodi, con vari generi musicali e da varie angolazioni, quindi è difficile generalizzare esperienze diverse e dare una risposta esaustiva. Credo che oggi per molti soggetti alcune delle problematiche del passato siano state superate: se non stai cercando di scalare le classifiche cavalcando la moda del momento ci sono molte meno pressioni e ci si può concentrare di più sulla musica. Sicuramente in questo senso il rapporto che abbiamo con la nostra etichetta, la Emme Records, è molto buono.
Fare musica spesso è considerato come una necessità?
OkB: Nel nostro caso sicuramente lo è.
Oggi, vedete molti giovani di talento attorno a voi?
OkB: Fortunatamente sì: comincia a farsi strada un'idea più intelligente di formazione musicale anche fra i ragazzi e i risultati si vedono, anche se rispetto al passato preoccupa la carenza di occasioni per fare musica insieme. Un problema è che alcuni giovanissimi si innamorano troppo del proprio strumento e non abbastanza della musica.
Che importanza riveste oggi l’immagine per chi fa musica?
OkB: Credo che in generale rivesta una certa importanza ma che la cosa dipenda anche molto dal circuito in cui si ambisce a proporre il proprio lavoro: esiste anche un pubblico che vive con un certo fastidio gli eccessi glamour ed è più interessato alla sostanza.
Alcuni artisti, nel far nascere le loro canzoni, si ispirano anche a libri letti o film visti. E’ successo anche a voi?
OkB: Sì, il nome stesso della band arriva da un vecchio giallo Mondadori, che nessuno di noi ha però letto! Il titolo del brano "Total Blam Blam" arriva in parte dal primo film di Jim Jarmusch e in parte da un testo di Bowie. Anche il titolo di Haruka's Mood è ispirato ad un videogioco giapponese e Detective Saridon è un gioco di parole fra Tenente Sheridan e il noto analgesico.
Per chiudere, quali le canzoni e gli artisti che più vi hanno fatto desiderare di fare musica attivamente?
OkB: Beh, qui credo che la risposta sia molto diversa per ognuno di noi (la band si è formata quando avevamo già superato tutti i trent'anni ed abbiamo background in parte diversi):
Alessandro Borgini: nel mio caso sicuramente The Doors, i Cream, Jimi Hendrix, i Massive Attack, i Sonic Youth e più avanti Charlie Parker, Thelonious Monk e Wes Montgomery.
Nicola Tentorio: se si parla di fare musica attivamente forse i Clash, tra le mie band preferite di sempre, hanno incarnato come pochi altri l'"urgenza" di prendere gli strumenti in mano e suonare. Mi piacerebbe vedere la stessa vitalità e la stessa voglia di fare anche in chi a 16-17 anni inizia ad approcciarsi al jazz.
Sebastiano Sempio: Da piccolo rimasi folgorato da tutti i musicisti presenti nel film “The Blues Brothers”, film fondamentale che mi fece scoprire il blues, la black music in generale e quindi, tempo dopo, anche il jazz... I gruppi punk rock degli anni 90 mi colpirono durante l’adolescenza per l’energia e l’impatto. Tra i batteristi mi affascinò immediatamente Steve Gadd: capii cosa volesse dire suonare la batteria in maniera totale e professionale.
Nick Stimazzi: Rischiando di risultare scontato per me probabilmente i Beatles.
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