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Source: Gazzetta.it
Intervista con la cantante e arpista, Giuseppina Ciarla
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- Published on Giovedì, 16 Settembre 2021 15:16
- Scritto da Andrea Turetta
- Visite: 1009
E’ intitolato A Ticket Home, il nuovo album della cantante e arpista Giuseppina Ciarla, disponibile sulle principali piattaforme digitali e in copia fisica da venerdì 3 settembre 2021. Progetto discografico totalmente autoprodotto, la tracklist di questo CD consta di undici brani, fra cui Oblivion (Astor Piazzolla – solo strumentale), Que Sera, Sera (Ray Evans-Jay Livingston), In Cerca di Te (Gian Carlo Testoni-Eros Sciorilli), Maria Marì (Eduardo Di Capua-Vincenzo Russo), Nature Boy (Eden Ahbez), Bella Ciao (canzone popolare), The Ballad of Sacco and Vanzetti (Joan Baez-Ennio Morricone), Billie Jean (Michael Jackson) e Libertango (Astor Piazzolla – solo strumentale) rappresentano nove immortali pietre miliari (ri)arrangiate ad hoc da Giuseppina Ciarla, mentre Preghiera e L’Invasione di Farfalle sono due intense canzoni partorite dalla sua spiccata sensibilità artistica. Nativa di Bari e statunitense d’adozione dal 1996, Giuseppina Ciarla è una musicista di formazione classica, ma sempre desiderosa e animata da uno spirito di ricerca che le consente di spaziare fra svariati generi musicali, dal jazz alla world music, fino al pop più raffinato. Si è distinta come “Prima Arpa” dell’Opera di Sarasota in Florida, ruolo che ricopre dal 2002, le viene conferito (nel 2017) il prestigioso “Gunther & Ilse Kern Grant for Outstanding Opera Artist”. Nell’arco della sua brillante e proficua carriera stringe significative collaborazioni con una pletora di illustri direttori d’orchestra come Lorin Maazel, Yannick Nézet-Séguin, Victor DeRenzi, Daniel Oren, John Neschling, Stefan Anton Reck, Roberto Abbado, Larry Rachleff, solo per citarne alcuni. Come se non bastasse, annovera altre collaborazioni di altissimo profilo con artisti del calibro di Terry Riley, Nanni Moretti, Antony Hegarty, Daniel Binelli, Anthony Braxton, Carol Wincenc, Tara Helen O'Connor, Benny Kim, Eddie Daniels, Marc Neikrug. Durante il suo incarico come “Prima Arpa” presso la Fondazione del Teatro Petruzzelli di Bari si è esibita con il Bolshoi Ballet. Ha calcato il prestigiosissimo palco del Lincoln Center di New York, oltre a suonare presso l’Ambasciata Italiana a Washington DC. Al concertismo affianca il suo impegno di didatta, accogliendo studenti di tutte le età nel suo studio di arpa attivo a Sarasota. In veste di docente, ha perfezionato la sua formazione certificandosi presso la Suzuki Association of the Americas. Ecco cosa ci ha raccontato, nell’intervista gentilmente rilasciata…
“A Ticket Home” è il tuo nuovo album. Com’è nata l’idea di questo tuo progetto artistico?
“A Ticket Home” è nato da un desiderio che ho coltivato per anni. Pur guadagnandomi da vivere con la musica classica, nei ritagli di tempo che lo studio mi concedeva ho sempre arrangiato, composto musica e cantato. Come musicista classica avere altre passioni è spesso considerato riduttivo, o almeno questo accadeva in passato. Oggigiorno essere crossover è stato rivalutato anche in ambienti classici, basti pensare a Yo Yo Ma. Io ne ho avuto pudore per tanto tempo, ma poi il covid è arrivato e le orchestre hanno chiuso i battenti lasciandomi il tempo che avevo sempre sognato di avere. Quando la mia orchestra ha chiuso, io mi sono svegliata il giorno dopo sapendo esattamente cosa avrei fatto. E così mi sono buttata a capofitto in questo progetto discografico, di cui ho curato tutti i particolari da sola. Il covid è stata un’esperienza terribile per il mondo, ma a me ha regalato la paura di morire con la mia musica ancora dentro, insieme all’opportunità di avere il tempo per dedicarmi a un progetto che non avrei mai potuto concretizzare in circostanze normali, quando il lavoro in orchestra non lascia spazio a nient’altro.
Foto di Billy Elkins
Tra l’altro, hai scelto di reinterpretare brani di artisti anche molto diversi tra loro. In base a cosa hai deciso quali pezzi inserire nel disco?
Tutti i brani del disco appartengono alla sfera dei miei ricordi. Sono brani che cantavo da piccola con i miei genitori, come “In Cerca di Te” o “Marì Marì”, oppure un brano iconico come “Nature Boy” che mi ha folgorato per la profondità del testo e l’incantevole melodia fin dal primo ascolto quando ero bambina, “Bella Ciao” che io associo all’Italia e alla sua nascita, “Billie Jean” che è uno dei capolavori di Michael Jackson, che ha toccato l’immaginario di tutti noi, mentre Piazzolla lo ascoltavo da piccolina e lo amavo allora come ancora oggi, credevo fosse magico. “Que Sera, Sera” della meravigliosa Doris Day, che è stata uno degli idoli della mia giovinezza, con la sua voce suadente e vellutata - e i miei brani frutto di riflessioni sull’amore e il concetto di oltrepassare i sentimenti per ritrovarsi interi e liberi. Solo la Ballata di Sacco e Vanzetti non faceva parte del bagaglio musicale che, come Pelle d’Asino, mi ha seguito sottoterra nel mio baule incantato. Quella l’ho scoperta prima di concludere la registrazione del disco e l’ho registrata da sola a casa mia. Questo è un brano di grandissima rilevanza politica e fa eco a tutte le ingiustizie causate dal razzismo e dalla diseguaglianza sociale a cui abbiamo assistito e assistiamo continuamente. Il testo di Joan Baez e la musica di Ennio Morricone mi sono arrivati dritti al cuore.
Ci sono due tue composizioni, Preghiera e L’Invasione di Farfalle. Due pezzi nati dopo lunga gestazione?
Stranamente no. La gestazione di ogni brano segue regole imperscrutabili. A volte ne richiede una lunga, altre volte sgorga dalle tue mani come se fosse stato già composto. È il mistero della creazione. Il più delle volte è il lavoro dell’artigiano che prende il sopravvento. Nota dopo nota, con molta pazienza, sperimentando variazioni e una miriade di idee. Ma questi due brani sono nati con grande facilità, figli di un dolore a cui sono grata proprio per questo.
Nasci come musicista di formazione classica. Nel tempo, come hai sviluppato la tua musica?
Io mi guadagno da vivere con la musica classica, sono Prima Arpa dell’Opera di Sarasota in Florida e collaboro sempre come Prima Arpa con La Sarasota Orchestra. Ho coltivato la mia musica parallelamente tutta la vita, prima esclusivamente per il mio piacere e adesso spero anche per quello degli altri.
Ti sposti tra Italia e Stati Uniti. Ciò ti ha permesso di entrare in contatto con generi musicali differenti e utili alla tua crescita artistica?
Premesso che viaggiare allarga sempre gli orizzonti, la mia sete di musica e la mia curiosità verso generi musicali differenti la devo principalmente ai miei genitori, che mi hanno cresciuta a pane, Bach, jazz, musica sinfonica e opera, oltre alle mie costanti ricerche prima alla radio da bambina e poi sul web. In generale sono io che faccio ascoltare ai miei colleghi artisti di genere diversi e nazionalità differenti. Sono curiosissima.
Foto di Sandy Swanson
Oggi un compositore deve saper spaziare tra vari generi musicali? C’è una maggior possibilità di unire culture diverse?
Senza dubbio. Non si può paragonare la nostra capacità di essere in contatto con il resto del mondo con quella che poteva avere un musicista dei secoli scorsi. Ogni compositore ha a sua disposizione l’arsenale delle sue conoscenze musicali, per cui da lì attinge seguendo i suoi gusti e le sue inclinazioni.
Quando si compone, quanto contano cuore e passione?
Nella stessa misura in cui contano per vivere!
Raggiungere un proprio stile ed identità, quanto è importante per un artista?
Non credo che nessun vero artista si sia mai posto questa domanda. Se c’è arte ci sono sia lo stile che l’identità. Entrambi crescono e si evolvono col tempo. Ma ogni vero artista ha la sua “voce” inconfondibile.
Parlando di “mondo delle sette note”, ormai ci bazzichi da qualche anno. Come lo trovi cambiato da ieri ad oggi?
Credo che il mondo della musica sia più aperto e interessante ai giorni nostri di quanto non lo fosse qualche decennio fa. Gli insegnanti sono più illuminati, si apprezzano e incoraggiano le contaminazioni, finalmente. Ma se torniamo indietro nel tempo, allora credo che fino all’Ottocento i musicisti fossero più completi, meno contaminati per ovvie ragioni, ma estremamente più competenti.
Che cosa significa per un artista potersi esprimere liberamente al 100%?
La vita, l’ossigeno, la felicità, l’appagamento, la ragione stessa per cui si è artisti. Forse per un musicista classico questa è la più grande frustrazione, in quanto raramente è possibile farlo, o con parametri così infinitesimali da essere un piacere perverso e ricercatissimo.
L’aspetto “live” del tuo lavoro, quanto ti piace?
Io sono un’introversa che non ama la ribalta, anche se non lo dimostro. Potrei essere felice anche suonando solo per me stessa come facevo da piccola. La performance per me è carica di grande responsabilità e ansia, ma allo stesso tempo mi regala emozioni di grande intensità. Quando si suona per un pubblico attento si crea una magia che ripaga di tutti i sacrifici e le ansie - ed è lì che la musica nasce e muore un attimo dopo. Puro incanto.
L’essere “Prima Arpa” dell’Opera di Sarasota in Florida è stato un po’ un riconoscimento di qualità ma anche una responsabilità maggiore?
In un certo senso sì, perché accompagnando i cantanti nelle arie più belle si sente sempre la responsabilità di voler contribuire al loro successo, di respirare insieme e perfino anticipare le loro intenzioni. Io immagino sempre di avere un cavo invisibile che colleghi i nostri cuori tra me nella buca, il direttore, i miei colleghi in orchestra e i meravigliosi cantanti sul palco. Quando l’alchimia riesce, è un lavoro straordinario. Più gioia che responsabilità. L’esperienza aiuta.
Nel corso degli anni, hai avuto modo di collaborare con molti artisti. C’è qualche collaborazione che ti è rimasta particolarmente nel cuore?
Quella col Maestro Maazel è stata sconvolgente. Ho adorato tutto di lui, anche la paura e il rispetto che incuteva. Con lui ho capito moltissime cose riguardo ai direttori d’orchestra. La musica gliela leggevo nel volto e nelle espressioni impercettibili. Era facilissimo suonare con lui, mai un dubbio o un’esitazione. Lui era la musica. Un’altra artista molto diversa che mi ha colpito al cuore è stata Antony Hegarty di Antony and the Johonsons, pura poesia. Poi ci sono tre artisti con cui sogno di poter collaborare: Yo Yo Ma, Sting e la nostra Tosca Donati.
La pandemia come ha cambiato il tuo modo di vivere la musica? Penso, ad esempio, sia stato anche difficile fare concerti.
I concerti si sono fermati quasi totalmente per circa un anno. L’opera e l’orchestra sinfonica hanno continuato ad allestire produzioni con pochissimi elementi. L’arpa è rimasta esclusa, perché spesso i brani che prevedono il mio strumento hanno organici molto ampi e quindi improponibili in tempo di covid. Ma la pandemia non mi ha impedito di esibirmi in concerti live streaming e di potermi finalmente dedicare alla registrazione del mio “A Ticket Home”. Grazie a essa e alla mancanza di lavoro, ho potuto dedicarmi anima e corpo a questo progetto che desideravo realizzare da anni. Per me è stata una grandissima opportunità che ho abbracciato con ancor più trasporto, perché consapevole del dolore che stava e sta causando all’umanità. Ho sentito fortissimo il richiamo verso la responsabilità di utilizzare il tempo concessomi nel modo migliore.
Ai tuoi dischi e concerti, affianchi l’impegno di didatta, accogliendo studenti di tutte le età nel tuo studio di arpa attivo a Sarasota. Immagino sia un’attività che dà grandi soddisfazioni.
Sì, mi piace tantissimo, anche se il tempo a disposizione è diventato sempre meno a causa dei tanti impegni per i concerti. Io adoro insegnare, sento che sia un dovere per ogni artista non solo condividere la propria esperienza, ma anche formare il pubblico del futuro. Concepisco l’insegnamento come una missione - e credo che gli insegnanti siano una categoria che andrebbe protetta. Credo inoltre a un tipo di insegnamento illuminato, in cui tutti gli studenti siano messi in condizione di migliorare e tirare fuori il meglio di sé. Le soddisfazioni, oltre a quelle riguardanti concorsi e audizioni, sono quelle legate all’aspetto umano. Vedere un bambino innamorato della musica, impegnarsi e concentrarsi è impagabile. Oppure vederlo sorridere, felice, perché ha appena ascoltato un nuovo brano o eseguito un passo che solo poco prima sembrava estremamente difficile. Noi insegnanti siamo tenuti ad alimentare l’autostima dei ragazzi. Troppi danni sono stati creati in passato da docenti crudeli e ignoranti. Ce ne sono ancora in giro, ma per fortuna stanno diventando una rarità.
Cosa consigliare a un giovane che desidera intraprendere la strada della musica?
Suggerirei di farlo solo se la sua vita dipende da questa decisione, se è disposto a fare grandi sacrifici, perché non riuscirebbe mai a concepire una vita diversa, bellissima ma non convenzionale. Studiare il più possibile da giovane e sperimentare insegnanti diversi e metodi diversi. Poi il consiglio più importante: ascoltare tantissima musica, lo stesso brano interpretato da molti - e fidarsi di se stessi. Ricordarsi sempre di raccontare una storia. La musica non è fatta di note, ma di emozioni.
Per ulteriori info:
https://www.giuseppinaciarla.com/
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