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Source: Gazzetta.it
Intervista con Stefano Dentone
- Dettagli
- Published on Martedì, 09 Febbraio 2021 16:39
- Scritto da Andrea Turetta
- Visite: 717
Undici canzoni originali scritte in italiano ed in inglese, questo è Aut/Out, il nuovo album di Stefano Dentone.
Si tratta di un disco che riflette sulla crescita personale dell’essere umano, la quale, giocoforza, lo mette di fronte a delle scelte. Queste scelte indirizzano il cammino di ciascuno di noi e ci costringono a rivelare la nostra genuina personalità. Crollano le fragili sovrastrutture che le persone costruiscono e si viene fuori per quello che si è. Così il latino “Aut” indica le alternative e l’inglese “Out” la rivelazione che segue la scelta.
Questo è l’undicesimo album in carriera per il musicista ligure trapiantato a Livorno ed il quarto come solista. Si tratta di un disco in cui le sonorità acustiche la fanno da padrona, ma le chitarre elettriche sono comunque molto presenti con suoni caldi ed avvolgenti. Il sound e la scrittura delle canzoni sono fortemente influenzate dal classic rock americano, con forti rimandi al blues e al country, ma con un gusto ed un taglio freschi ed attuali. Dunque non un disco di genere, ma un album che, nel grande genere che è il rock, può essere considerato trasversale.
Aut/Out è stato prodotto e registrato dallo stesso Stefano Dentone nel suo studio di Livorno e vede la collaborazione della polistrumentista Valentina Fortunati, che lo accompagna in quattro tracce dell’album con chitarra classica, fisarmonica, mandolino e charango.
· Quando hai iniziato a fare musica?
Sono un “classe’73” ed ormai posso essere considerato della vecchia guardia. Mi interesso di musica da sempre. Ero solo un bambino quando organizzavo spettacoli nel cortile dove abitavo… s’invitavano gli adulti e si faceva pagare loro un biglietto. C’erano piccole recite e spettacolini di magia… io cantavo canzoni senza nessun accompagnamento. Poi, da ragazzo, mi prese la febbre del rock’n’roll e non mi è mai passata!
· Con quali artisti sei cresciuto?
Nel 1977 morì Elvis e in televisione trasmisero il live “NBC TV Special” del 1968… quello dove Elvis è vestito con un completo di pelle nera e canta per la prima parte dello show in piedi, da solo in mezzo ad una specie di ring e, nella seconda parte, seduto, in versione semi unplugged, accompagnato da altri tre musicisti. Avevo 4 anni e rimasi folgorato. Da allora Elvis Presley è stato un punto di riferimento e poi ho intrapreso il mio viaggio nella musica rock. Robert Johnson, Muddy Waters, Chuck Berry, The Rolling Stones, The Band, The Beatles, Allman Brothers Band, Creedence Clearwater Revival, Neil Young, Bruce Springsteen, John Mellencamp… la lista sarebbe ancora lunga.
· Come nasce la tua musica? Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Le fonti d’ispirazione possono essere molteplici. A volte sento l’urgenza di raccontare una storia o di parlare di un certo argomento, altre volte un viaggio, un film, un libro o uno spettacolo mi fanno venire voglia di prendere la chitarra in mano e comporre qualcosa. Tutto comunque, almeno fino ad oggi, è nato imbracciando la mia chitarra e cominciando a viaggiare con dei giri di accordi o con dei riff.
· Di cosa parla la tua nuova avventura musicale?
Aut/Out è un disco che riflette sulla crescita personale dell’essere umano, la quale, giocoforza, lo mette di fronte a delle scelte. Queste scelte indirizzano il cammino di ciascuno di noi e ci costringono a rivelare la nostra genuina personalità. Nel percorso della crescita creiamo barriere e maschere difensive che compromettono la nostra spontaneità. La vita ci impone scelte e spesso contribuisce a far crollare le fragili sovrastrutture che costruiamo, rivelando noi stessi per quello che effettivamente siamo. Così il latino “Aut” indica le alternative e l’inglese “Out” la rivelazione che segue la scelta.
· Quali sono i generi in cui spazi nella tua produzione?
Avendo una formazione musicale di matrice americana, il mio campo da gioco è il rock classico. Quel tipo di rock impregnato di blues e country, che affonda le sue radici nella tradizione folk U.S.A. I primi anni in cui mi confrontavo con il songwriting, scrivevo esclusivamente in inglese. Ormai, da parecchi anni, scrivo anche in italiano, ma gli ambienti sonori e tematici dei miei album e delle mie canzoni restano sempre fortemente ancorati alle radici della tradizione del grande rock.
· Cosa ne pensi dei social e del web in generale come mezzo per farsi conoscere?
Negli ultimi 15 anni questi sono diventati strumenti imprescindibili per chi voglia far conoscere la propria musica al mondo. Chi non ammette questo, non ha il contatto con la realtà. Bisogna però fare di tutto perché non diventino i mezzi esclusivi per raggiungere questo scopo. La storia ci insegna che la condivisione ed il contatto fra le persone sono la base storica dell’evoluzione musicale e culturale nel corso dei secoli. Per quanto mi riguarda non posso nemmeno immaginare un mondo (che purtroppo in questo periodo storico stiamo vivendo) in cui non si possa suonare la propria musica dal vivo. Per quanto mi riguarda un bel concerto vale più di mille “like”!
· Cosa non deve mai mancare in un brano che ascolti e in uno che scrivi?
Semplice: la sincerità. Sia nello scrivere che nell’interpretare un brano, per me, la sincerità è indispensabile.