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Source: Gazzetta.it
Intervista con Francesca De Mori
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- Published on Martedì, 01 Agosto 2017 08:19
- Scritto da Andrea Turetta
- Visite: 869
Francesca De Mori inizia a dedicarsi al canto a partire dal 1990. Con numerosi e differenziati progetti ha modo di sperimentare e cantare esprimendosi attraverso differenti stili musicali in teatri del Nord Italia, locali e festival musicali fra cui Estival jazz, Como jazz, Ah-Um milano jazz, collaborando con numerosi artisti. Si diploma in canto moderno all'AMM di Milano con Paola Milzani. Vince una borsa di studio al CET di Mogol e ha modo di frequentare, studiando, Mario Lavezzi, Gianni Bella, Mogol. Frequenta i corsi teatrali della compagnia “ La Piccionaia” di Vicenza e Nonchiamateciattori di Milano e partecipa ai seminari con Nora Fuser, Laura Cu-rino e Gioele Dix… E’ ora uscito il suo album, “Altre Strade” che contiene le canzoni inedite --Altre Strade, Come l'Acqua, Liberamente, La ruota del tempo, Il gioco delle illusioni e le canzoni edite d’autore “ A che servono gli dei”, “L'isola” ed “ E ti vengo a cercare” di Franco Battiato. Ecco l’intervista gentilmente rilasciata…
E’ uscito il tuo album, “Altre strade”. Un disco che ha avuto bisogno di una lunga gestazione o nato abbastanza velocemente?
Buongiorno Andrea e grazie per queste domande. Sono molto felice di potermi rivolgere e farmi meglio conoscere ai tuoi lettori. Arrivare a produrre “Altre Strade” è il lavoro di una vita, di risparmi investiti, di passaggi psicologici, e soprattutto di incontri con le persone. Nella realizzazione di questo lavoro discografico molti sono i processi interiori che ho dovuto affrontare, imparando anche a comunicare in modo più attento con le figure che si sono occupate delle fasi diverse di realizzazione, superando i momenti di insicurezza. Autorizzarsi a dire qualcosa non è semplice, dirlo su canzoni scritte per te da altri, interpretandole, ancora di più. Al lato pratico e per rispondere alla tua domanda iniziale la gestazione è stata di circa due anni, fra creazione e riflessioni sui testi e sulle musiche, poi prove, registrazione e stampa e non è finita.
C’è un filo comune che lega le canzoni di questo disco?
Ascoltandolo a me pare di sì, che tutto scorra fluidamente e di non percepire intoppi. Ma non è una pretesa. Si dice che una volta realizzate, le canzoni non sono più tue. E' bello lasciare libertà a chi ascolta in questo. I testi e le musiche sono scritte da Daniele Petrosillo, contrabbassista e compositore milanese. Da parte mia, collaboro alla parte letteraria solo in “Altre strade” che ci inizia all'ascolto raccontando di lasciare andare il passato, che non significa dimenticarlo, ma concentrandosi su di sé e sentendo di fare parte del tutto, ritrovare la fiducia interiore. Come direbbe Arnaud Desjardins in un libro che mi è piaciuto molto, si tratta di ritrovare l'audacia di vivere, coltivando il coraggio di essere. Il secondo inedito è “ Liberamente”, scritta in 5/4, che parla della forza data dalla connessione con l'energia di guarigione degli elementi della natura, ritrovando la gioia semplicemente correndo nel vento, assaporando il tocco dell'acqua che accarezza il viso e le mani, ascoltando la voce del mare. “Come l'acqua” racconta della parte fragile e delicata dell'essere umani e suggerisce di muoversi come l'acqua che scorre. Panta Rei. Il tema delle vite passate è sfiorato ne “La ruota del tempo” che con un tempo in 7/4 scandisce il ripetersi di questo eterno movimento che è la vita. Chiude la rosa degli inediti “ Il gioco delle illusioni” che è una canzone sui rapporti d'amore, ma senza arroganza di soluzione, l'invito è di andare oltre le illusioni, liberi da proiezioni personali. Gli altri musicisti, compagni preziosissimi, che suonano nel disco sono Salvatore Pezzotti al pianoforte, che ha anche curato gli arrangiamenti del Quartetto d'Archi Archimia – Andrea Anzalone, Paolo Costanzo, Serafino Tedesi, Matteo Del Soldà- , Rino Dipace alla batteria e Raffaele Kohler alla tromba e flicorno.
Nel disco sono presenti 3 brani di altri artisti. Come sono stati scelti?
Si tratta di tre artisti che fanno parte della mia formazione, umana mi sento di dire. I brani sono “A che servono gli dei” interpretato da Rossana Casale; “L'isola” interpretato da Ornella Vanoni ed “E ti vengo a cercare” di Franco Battiato. Sono da sempre presenti nella mia psiche e mi hanno plasmata e influenzata sia nel modo di porre l'interpretazione vocale, che nei contenuti dei testi. Li abbiamo scelti perchè a me pare si allaccino agli inediti, continuandone il discorso. Un po' mi viene l'immagine dell'edera che si arrampica sui tronchi degli alberi diventando con essi un tutt'uno.
Quando hai iniziato a cantare avresti mai pensato di poter raggiungere certi livelli qualitativi?
Per me il pensiero di poter cantare e vivere di questo era anni fa inimmaginabile. E' stata una sorpresa inaspettata della vita incominciare per questa via. Ho davvero iniziato “tardi” anche se sì, il canto è stato sempre presente, ma come mio modo di essere nel quotidiano. Non avevo mai pensato di “fare” la cantante. Poi, iniziando questo percorso, ho capito che avevo bisogno di studiare, che l'istinto naturale non era sufficiente e infatti prima sono andata incontro a qualche problemino vocale, per fortuna risolto con riabilitazione, studio e ricerca. La voce riflette i nostri percorsi, la nostra personalità, è un mistero impalpabile. Credo che ogni volta che si cambia, cambi anche lei e anche il contrario. Tutte le emozioni che proviamo influenzano la voce, i grandi ricercatori della voce, parlata e cantata, riescono a intuire molte qualità emotive di chi sta loro davanti solo ascoltando. Affascinante, no? La voce è la nostra impronta energetica, pochissimi però quando si riascoltano si piacciono. Ci sono anche ragioni di tipo acustico che rientrano nei motivi di tale difficoltà, ma non fa un po' riflettere che sappiamo tante cose, ma non poniamo attenzione al nostro suono, al ritmo, al tono con cui parliamo?
La musica pensi sia uno dei modi migliori per unire i popoli?
Se togliessimo questo potere alla musica penso non ci sarebbe davvero più speranza. La musica fin dalla notte dei tempi assolve a mille funzioni. Non solo: la musica è l'essere che ci permetterà di salvarci. Date uno strumento in mano ad un ragazzo/a, create in lui la passione per qualcosa e quel ragazzo sarà salvo. Sono così sicura di questo perchè per me è stato così. Ma non solo la musica, tutte le arti, assolvono alla funzione di richiamo interiore, come un'eco lontana che ci riporta a noi.
Da alcuni anni si parla di crisi del settore discografico… Pensi sia una crisi causata dal crollo delle vendite di dischi o anche che vi sia una carenza di cose nuove da proporre da parte dei vari artisti?
A me pare invece che molti artisti dicano, forse la selezione è più difficile. Personalmente dò importanza alla storia di un'artista, a quello che mi racconta nelle sue opere. Il talento non è così comune, forse alcuni si confondono. E' ancora una perla rara e preziosa, che ha bisogno di cura come una piantina. Non bisognerebbe perdere la capacità di mettersi in ascolto in un momento che scorre via molto veloce, a volte usa e getta, attraverso le immagini e la tecnologia che tende a snaturare il suono degli strumenti e delle voci rendendole robotiche.
Tra le cose scaturite negli ultimi anni… c’è il senso di precarietà. E’ una cosa che riguarda anche chi, come te, lavora in ambito artistico?
Avevo intuito,non so come, a 20 anni che sarebbe arrivato questo momento di difficoltà. Non è presunzione, è stato il momento in cui ho deciso di iniziare a cantare, un lavoro che è precario perchè non ci sono mai sicurezze. Già fin da allora intuii che il posto fisso stava per diventare una chimera. Naturalmente me ne dispiace molto perchè non è facile gestire momenti di vuoto lavorativo. Per nessuno. Ora pare che la malattia del secolo sia la depressione e che cos'è questa brutta bestia se non la precarietà del senso di sé, il vuoto che si para davanti a inghiottirci. L'uomo ha bisogno di lavorare, di avere sicurezze. La società in cui viviamo non ci ha insegnato a parare questi colpi bassi. Per me che assisto impotente al disgregarsi di molte certezze per tanti, anche le mie a volte, e che mi sento da sempre precaria, poco è cambiato. Noi che viviamo di questo lavoro non abbiamo nessuna garanzia. La mia opinione è che oramai non c'è differenza alcuna con chi lavora a progetto. Siamo tutti artisti in questo senso.
Oggi quali pensi siano le qualità che deve avere un giovane cantante/musicista, per farsi strada nel mondo delle sette note?
Potrei sciorinare una lunga lista di qualità, ma siamo tutti diversi, ci sono grandi artisti che sono persone schive, artisti più spregiudicati, altri molto tenaci, etc. Alla base c'e' il lavoro sodo. Non ho mai cantato per essere famosa, ma perchè è l'unica cosa che mi viene con maggiore naturalezza e nella quale credo fortemente. Mi fa ancora stare bene e respirare.
Per te, è stato difficile trovare chi credesse nelle tue qualità canore?
Come ti dicevo prima, mai e poi mai avrei pensato di cambiare strada. Il mio percorso di studi, dopo il diploma, mi doveva condurre verso la professione di assistente sociale. Frequentavo il corso a Venezia per tre anni, ma non ero sicura della mia scelta. Mi mancavano tre esami ma cominciai ad avvertire un profondo malessere. Il destino mi venne incontro e qualcuno mi suggerì di cantare nelle orchestre e poi giunsero altre esperienze. Quindi il sostegno di alcune persone che hanno colto in me delle potenzialità è stato fondamentale.
In molti artisti, il viaggio è fonte di ispirazione. Succede anche a te?
Non così tanto. Anzi, quando viaggio sono assorbita da ciò che mi capita intorno, mi lascio nutrire questo sì. Sono molto più ispirata da alcuni libri o da alcuni personaggi reali o della storia o dalla musica strumentale, anche da quello che creano altri artisti.
Pensi sia vero che nella musica “tutto è già stato fatto e detto”?
Spero proprio di no, finchè l'uomo non avrà fine.
Preferisci il lavoro in studio o l’esibizione “live”?
La mia essenza vive nei live. In studio non sono molto a mio agio per tutta una serie di motivi che non mi permettono di lasciarmi andare del tutto, forse non mi sento nella mia dimensione naturale. In studio la strizza di sbagliare non mi passa mai, sul palco dopo un po' me ne dimentico.
Cos’hai provato la prima volta che sei salita su un palco per cantare?
La prima volta sono salita nel seggiolone, non scherzo. E' questo il mio primo ricordo. Poi mi ricordo che mia sorella mi portava nelle vecchie contrade del paese da cui provengo che è Pianezze del Lago di Fimon, e là mi facevano cantare. Mi sembra di ricordare che mi piacesse. Diverso è stato quando sono salita su di un palco da professionista. Ho provato molta più paura. Molti quando racconto che sono timida e insicura non mi credono, ma penso sia la mia parte più spavalda a non far percepire l'ansia che mi prende alcune volte. Alla fine, mi dico, o la và o la spacca.
Dal punto di vista sociale ed umano, cosa può fare una canzone?
Risponderò per quella che è la mia esperienza escludendo il giudizio sulla forma estetica della canzone. La canzone può collegarci ad una nostra immagine interiore, ad un archetipo personale o collettivo, ritrovato nella forma del brano. In questo senso può creare unione nel nome di valori comuni oppure creare separazioni, vedi le canzoni politiche. Una canzone ci permette di percepire alcune parti di noi, felici, tristi , etc., di entrane in contatto, ma anche di cantare senza pensiero alcuno. Se penso alle canzoni anni '40, la funzione era proprio quella di disperdere le tristezze, non c'era senso nelle parole, anche se alcune prendevano in giro alcuni personaggi del regime.
Per ulteriori info:
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